
Le interviste di questo reportage sono state effettuate prima che entrasse in vigore il decreto Ristori bis con il nuovo elenco di attività che beneficeranno del contributo a fondo perduto. La novità rilevante è che compare nel fatidico elenco il codice Ateco 96.01.10 – Attività delle lavanderie industriali. Ad una prima lettura abbiamo l’impressione di trovarci di fronte ad un ginepraio di regole, rinvii ad altre norme, distingui, deroghe. In tale situazione, il ruolo dell’interprete è essenziale per capire se un’azienda rientri nelle attività beneficiarie o ne sia estranea. Con l’aiuto di Assosistema di Confindustria cerchiamo, nel riquadro dell’articolo, di chiarire (anche con l’ausilio di esempi) la portata della norma e in particolare degli artt. 1, 6 e 11 del Decreto Ristori bis
Le fotografie che campeggiano sui quotidiani e le notizie che rimbalzano dai Tg nazionali di giovedì 29 ottobre per la manifestazione del giorno precedente dei ristoratori, sono sconfortanti e lasciano l’amaro in bocca al tempo stesso. I ristoratori hanno apparecchiato le piazze d’Italia e il loro umore nero strideva con il candore delle tovaglie distese per terra.
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Decreto Ristori bis, le misure per le lavanderie industriali
ART. 1 – Rideterminazione del contributo a fondo perduto di cui all’art.1 D.L. 28/10/2020 n.137 Viene ampliato l’elenco delle categorie di attività beneficiarie del contributo a fondo perduto, contenuto nel primo decreto “Ristori” (D.L. 28
ottobre 2020, n. 137). Il nuovo elenco è contenuto nell’Allegato 1 che sostituisce il precedente Allegato 1 e che contiene anche il codice Ateco 96.01.10 – Attività delle lavanderie industriali.
Pertanto, andiamo a vedere nel merito come funziona il primo decreto Ristori che all’art.1 prevede il riconoscimento di un contributo a fondo perduto, ex art. 25 D.L. n. 34/2020, a favore dei contribuenti esercenti le attività che sono state individuate come quelle danneggiate dalle misure del D.P.C.M. 24 ottobre 2020. Possono godere del beneficio i soggetti:
· cui sono state imposte la sospensione dell’attività o la riduzione dell’attività a seguito dell’ultimo D.P.C.M. emanato. L’elenco di tali attività è contenuto nell’Allegato 1 al DL n. 137/2020, come sostituito dall’Allegato 1 al DL n. 149/2020 in commento;
· che esercitano in via prevalente una delle attività elencate all’Allegato 1 del D.L. n. 137/2020, sostituito come detto al punto precedente;
· con partita IVA attiva alla data del 25 ottobre 2020.
Il contributo riconosciuto sarà pari a quello risultante dai conteggi effettuati con le modalità previste dall’art. 25 del D.L. n. 34/2020, moltiplicato per le percentuali stabilite dal D.L. n. 137/2020.
Soggetti che HANNO GIÀ FRUITO del contributo a fondo perduto di cui al decreto “Rilancio”
I soggetti che già sono risultati beneficiari del contributo a fondo perduto normato dal precedente decreto “Rilancio” non dovranno presentare alcuna ulteriore istanza.
In caso di avvenuto riconoscimento del contributo a fondo perduto previsto dal D.L. n. 34/2020, tutti i dati per determinare l’ammontare del nuovo contributo sono già a disposizione dell’amministrazione finanziaria che selezionerà i beneficiari dalle istanze a suo tempo presentate in base al codice Ateco dell’attività esercitata in via prevalente dai contribuenti, determinando così, a partire dal contributo a fondo perduto originariamente spettante, il nuovo ammontare riconosciuto, applicando le percentuali riportate nella nuova tabella.
I contribuenti rientranti in questa casistica, pertanto, non dovranno fare altro che attendere l’accredito della somma spettante sul conto corrente bancario; ad essere utilizzato sarà l’IBAN indicato nella domanda di riconoscimento del contributo a fondo perduto previsto D.L. “Rilancio”, ovvero quello riportato nell’istanza a suo tempo trasmessa.
Soggetti che NON HANNO RICHIESTO il contributo a fondo perduto di cui al decreto “Rilancio”
Diversa è la procedura prevista per i soggetti che non hanno presentato istanza per il riconoscimento del contributo a fondo perduto previsto dal decreto “Rilancio”. Potrebbe trattarsi di contribuenti aventi diritto, ma che a suo tempo hanno volontariamente deciso di non richiedere il sostegno, così come dei contribuenti che non hanno avuto accesso alla prima misura, a seguito del superamento della soglia di ricavi di 5 milioni di euro.
In entrambi i casi, per poter accedere al nuovo contributo a fondo perduto, i contribuenti interessati dovranno innanzi tutto verificare di essere in possesso dei requisiti di base, ovvero, come previsto dall’art. 1 del D.L. 137/2020:
· esercizio di attività prevalente rientrante nei codici ATECO di cui al nuovo Allegato 1;
· partita IVA attiva alla data del 25 ottobre 2020;
· ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 inferiore ai due terzi dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019 oppure apertura della partita IVA a partire dal 1° gennaio 2019.
Se tutti questi requisiti sono rispettati, i contribuenti interessati dovranno presentare un’apposita istanza, da formularsi con la medesima modulistica già utilizzata per il contributo a fondo perduto del decreto “Rilancio” (Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 230439 del 10 giugno 2020).
La presentazione dell’istanza potrà avvenire dopo l’apertura del canale telematico. Tale adempimento assolverà la funzione di comunicazione all’amministrazione finanziaria dei dati necessari al computo del contributo virtualmente spettante secondo le regole già stabilite in precedenza, con il decreto “Rilancio”. Tale importo “virtuale” costituirà la base di calcolo per il riconoscimento del ristoro effettivo previsto dal D.L. n. 137/2020. Ai fini della
determinazione del contributo “virtuale”, che costituisce la base di calcolo del contributo a fondo perduto qui in esame, si rendono applicabili le medesime regole di conteggio previste dall’art. 25 del D.L. n. 34/2020.
Laddove i ricavi dell’esercizio precedente superino soglia 5 milioni di euro (ipotesi non contemplata dal decreto “Rilancio”), la percentuale da applicare è quella di cui al comma 5, lettera c), dell’art. 25 del D.L. n. 34 del 2020, ovvero il 10%.
Esempio: una lavanderia industriale ha conseguito ricavi di cui all’art. 85, comma 1, lettere a) e b) del TUIR superiori a 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto “Rilancio”, e di conseguenza non ha presentato istanza ex art. 25 D.L. n. 34/2020.
Si ipotizza che il contribuente, sia in stato di attività alla data del 25 ottobre 2020 e abbia rispettato lo scostamento di fatturato nella misura richiesta ai fini del riconoscimento del contributo a fondo perduto previsto dal D.L. n. 137/2020.
Es. fatturato aprile 2019 X euro; fatturato aprile 2020 Y euro. Dovrà presentare istanza telematica al fine della valorizzazione del contributo a fondo perduto “virtuale”, che è pari ad euro (X- Y) x 10%, ovvero Z (comma 5, lett. C, art. 25 DL 34/2020). Per calcolare l’ammontare effettivamente spettante, a tale contributo “virtuale” occorre poi applicare la percentuale riconosciuta, ai sensi dell’Allegato 1 al decreto “Ristori bis”, che per le lavanderie industriali è pari al 100%. Di conseguenza, il contribuente riceverà a titolo di contributo a fondo perduto la somma di euro K (Z x 100%), con accredito sul conto corrente indicato in sede di presentazione dell’istanza.
Occorre comunque precisare che, ai sensi del comma 8, dell’articolo 1 del DL n. 137 del 28 ottobre 2020, l’importo del contributo non può essere superiore a euro 150.000,00; quindi tornando all’esempio sopra riportato K non potrà essere superiore a 150.000,00 euro.
ART. 6 – Estensione proroga del termine di versamento del secondo acconto per i soggetti che applicano gli indici sintetici di affidabilità fiscale
È disposta la proroga al 30 aprile 2021 dei termini di versamento della seconda o unica rata dell’acconto delle imposte sui redditi e dell’IRAP dovuto per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019, per i soggetti ISA, ovvero che esercitano attività economiche per le quali si applicano gli indici sintetici di affidabilità fiscale (le lavanderie industriali rientrano tra questi) e che non ricadano in cause di esclusione dagli stessi, per i soggetti operanti nei settori economici indicati negli Allegati 1 e 2 del D.L. n. 149 del 9/11/2020, aventi domicilio fiscale o sede operativa nelle aree del territorio nazionale caratterizzate da uno scenario di massima gravità e da un livello di rischio alto, individuate con le ordinanze del Ministro della salute adottate ai sensi dell’ art. 3 del DPCM 3 novembre 2020 (“zone rosse”).
In sostanza per rientrare nella proroga è obbligatoria la presentazione del modello ISA unitamente alla dichiarazione dei redditi (entro il 30 novembre) e avere la sede nelle zone rosse. Rispetto al precedente DL “Ristori”, viene superato il requisito dalla diminuzione del fatturato o dei corrispettivi. Non si fa luogo al rimborso di quanto già versato.
ART. 11 – Sospensione dei versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali per i datori di lavoro privati con sede operativa nei territori interessati dalle nuove misure restrittive
La sospensione dei versamenti contributivi dovuti nel mese di novembre 2020, disposta dall’art. 13 del primo DL “Ristori” si applica, indipendentemente dal calo del fatturato, ai datori di lavoro privati appartenenti ai settori individuati nell’Allegato 1 del DL “Ristori bis” ovunque localizzati, mentre quelli dell’Allegato 2 devono operare in zone rosse. Sono sempre esclusi dalla sospensione i premi INAIL.
Mentre per tutti gli altri contribuenti si continua ad applicare la previsione dell’art.98 del D.L. 14/08/2020 n.104; perciò si può usufruire della sospensione a condizione che il fatturato del primo semestre 2020 sia inferiore di almeno il 33% del fatturato del primo semestre 2019.
In entrambi i casi, i versamenti sospesi dovranno essere effettuati, senza sanzioni e interessi, in un’unica soluzione entro il 16 marzo 2021 o mediante rateizzazione fino a un massimo di 4 rate mensili di pari importo, con il versamento della prima rata entro il 16 marzo 2021.
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Milano, Roma, Napoli, Bologna, Torino, Palermo, Trieste, la musica non cambia, anzi la tavola non cambia. La protesta dei 1000 coperti rovesciati nelle piazze è eloquente dello stato di emergenza del settore. I dati di Fipe – Confcommercio: 300 mila posti di lavoro a rischio, 50 mila aziende in stato comatoso, 2,7 miliardi di euro bruciati solo come prodotto del Dpcm della terza settimana di ottobre. E rivolgendo lo sguardo al turismo e in particolare agli alberghi la situazione non cambia, anzi. E a differenza di quanto pensa chi si trova nella “stanza dei bottoni” la filiera non finisce ai ristoranti e agli alberghi. Per Assosistema-Confindustria i volumi trattati dalle lavanderie industriali operanti nel mercato alberghiero e della ristorazione nel mese di settembre 2020 parlano chiaro: rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, l’attività di noleggio e sanificazione della biancheria e dei tessili ha registrato mediamente un -45% per le strutture alberghiere e -35% per quelle della ristorazione con previsioni per ottobre di un ulteriore decremento rispetto a settembre visti i chiari di luna. “Ci stiamo riavvicinando velocemente – dichiara Marco Marchetti, Presidente di Assosistema Confindustria – ai drastici cali del periodo febbraio/maggio. Questo trend negativo conferma le stime che a fine 2020 prevedono una perdita di fatturato di circa 400 milioni di euro e una riduzione dei posti di lavoro di circa 5.000 unità”. “Basti pensare alle grandi città d’arte – continua Marchetti – dove la mancanza di turisti da oltre Oceano e di gruppi internazionali, di manifestazioni e di business, a settembre ha portato ad una riduzione dell’attività delle lavanderie industriali, rispetto allo stesso periodo del 2019, pari a: Milano, Venezia e Roma -72%, Napoli -76% e Firenze -70% ma a seguito della nuova situazione che si sta delineando torneranno a breve a segnare ulteriori diminuzioni pari al -85-95%”.
“Non ho molto da dire” esordisce Martino Pedersoli del Gruppo Pedersoli di Assago (Mi) “perché la situazione è sotto gli occhi di tutti, in particolare, per quanto riguarda le lavanderie nell’ambito del turismo. Una situazione imprevedibile dopo 60 anni di lavoro, il nostro gruppo ne è particolarmente colpito da tale situazione, in quanto lavoriamo con il turismo nelle grandi città, quindi stiamo parlando dell’anello più debole della catena. Penso che il turismo con i suoi tempi si riprenderà così come le attività a supporto come la nostra. Nonostante gennaio e febbraio mesi in cui la pandemia non aveva nuociuto all’operatività dell’azienda, tutti gli altri mesi sono stati una parabola discendente, per cui quest’anno chiuderemo con l’80% di riduzione del fatturato rispetto allo scorso anno. Secondo me non è stato detto con sufficiente forza che il nostro business è strettamente collegato a quello degli alberghi, tanto è vero che gli alberghi senza il nostro servizio chiuderebbero, quindi è assolutamente incomprensibile che le misure stanziate per le attività alberghiere non riguardino anche noi”.
“Noi lavoriamo sia con gli alberghi dei grandi centri urbani sia con il turismo fuori città, prevalentemente in Lombardia” ci racconta Sandro Recalcati della Lavanderia Lombarda Industriale Service di Lentate sul Seveso (MB). “Alberghi, ristoranti ed RSA, questo è il nostro business. Vuole sapere il nostro fatturato da inizio d’anno? In questo momento (26 ottobre ndr) noi abbiamo un 37% di riduzione rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, considerando che prima del 23 febbraio avevamo un incremento del 2%. Da inizio della pandemia, per 8 settimane consecutive abbiamo avuto un calo dell’80%, poi c’è stato un lieve recupero dalla seconda metà di maggio, fino ad arrivare a fine agosto con un meno 25% (la ripresina è dovuta principalmente all’iper attività del turismo italiano sul lago di Como anche se è mancato sia il turismo russo che quello americano; alla ripresa estiva hanno contribuito anche il turismo proveniente dai Paesi del nord Europa i quali sono particolarmente affezionati al lago Maggiore). A settembre è ripresa la parabola discendente. Questo mini lockdown non penso durerà un mese e non penso neanche che produrrà grandi risultati. Pensi che nella prima chiusura, in Regione Lombardia hanno confuso le tintolavanderie con le lavanderie industriali costringendoci alla chiusura. Per rimanere aperti abbiamo dovuto fare ricorso al Prefetto. Coloro che hanno preso le decisioni non ci hanno ascoltato un granché tanto è vero che non hanno capito che la filiera del turismo non ha inizio alla porta dell’albergo e non finisce a quella del ristorante è molto più ampia e complessa: include i trasporti, le compagnie di viaggio, la filiera del rifornimento alimentare e dulcis in fundo le lavanderie. Si è messa in lockdown una filiera che produce il 13% del PIL. Consideri che nessun albergo viene progettato più con la lavanderia interna, quindi è necessario difendere la professionalità delle lavanderie e salvaguardare un settore che ha supportato il turismo negli ultimi 50 anni. Nella nostra azienda per fortuna serviamo anche il settore delle RSA che però ha una percentuale residuale che non supera il 20% del nostro fatturato ma che comunque ci ha permesso nei periodi più difficili, come quelli che stiamo vivendo, di tenere attivi gli impianti. Fondamentale era prendere coscienza da parte dei decisori, che l’ambito della lavanderia fosse un settore essenziale invece abbiamo trovato e riscontrato una incapacità di fondo. Mi sarebbe piaciuto che qualcuno dell’esecutivo oltre al meritevole encomio ai medici e agli infermieri in prima linea, avesse rivolto anche un più piccolo ringraziamento, alle lavanderie industriali che da 8 mesi tengono in piedi le RSA e la sanità nel suo complesso. Le lavanderie industriali che si occupano solo di sanità, nel primo lockdown sono riuscite a trovare e a fornire quadruplicandolo, ad esempio il fabbisogno di camici in una condizione di precarietà e rischio molto elevata. Concludendo mi sarebbe piaciuto vedere più competenza, meno approssimazione e più considerazione, cosa che francamente non ho visto e non solo per il nostro settore.
“Noi lavoriamo essenzialmente con il settore alberghiero e con la ristorazione”, ci dice Claudio Delbono della Lavanderia Val Wash, “Abbiamo tre sedi, una a Temù in Valcamonica, una a Tirano in provincia di Sondrio, e l’ultima vicino a Varese e precisamente a Gavirate. Ad aprile, maggio e giugno abbiamo avuto un tracollo del fatturato del 90%, ad agosto e settembre c’è stata una consistente ripresa, mentre a ottobre è ritornato il buio. Consideri che la stagione invernale non si preannuncia serena e florida, anzi. Mi chiede come l’esecutivo ha gestito l’emergenza? Nei momenti difficili, come questo, bisognerebbe agire per priorità: il principale veicolo del virus lo si trova nei mezzi pubblici delle grandi città, ne nelle scuole, ne nei ristoranti, ne negli alberghi. Mi sarei aspettato un’azione più efficace da parte dell’associazione di categoria, un’iniziativa nazionale contro il monouso, ad esempio è totalmente mancata. Era il momento cruciale per fare una campagna di questo tipo, considerando poi, che alcune ASL consigliavano di eliminare il tovagliato a favore del monouso, completamente incuranti dei danni che un tale comportamento provoca dal punto di vista ecologico.
“Noi ci occupiamo per il 70% di alberghi del Triveneto nell’ambito delle città d’arte e per il 30% di ristorazione”, ci racconta Stefano Gheno della Lavanova di Romano D’Ezzelino (VI). “Il governo non può limitarsi a fornire un aiuto al segmento della ristorazione e degli alberghi dimenticandosi di noi. Noi non siamo qui ad attendere il sussidio ma quando è essenziale per salvare delle attività […]. Bloccare ristoranti, alberghi e bar non ha alcun senso dopo avere costretto tutte le aziende ad investire nelle misure di sicurezza e nell’osservanza dei protocolli. Come settore lavanderie industriali non abbiamo ricevuto niente fino ad oggi e stiamo facendo ricorso solo alle nostre energie e forze. La vera questione è che non tutte le attività sono sufficientemente solide per resistere alla
pandemia economica concomitante a quella virale. Anche per la nostra Associazione di Categoria è venuto il momento di alzare la voce. In questo periodo di pandemia in cui l’igiene è elemento essenziale perché non spingere per arrivare ad esempio alla certificazione obbligatoria relativa al rispetto dei protocolli della “14065” (UNI EN 14065 – Certificazione Tessili trattati in lavanderia Sistemi di controllo della biocontaminazione) anche per le lavanderie del settore turistico? La nostra lavanderia è certificata volontariamente dal 2009 e non capisco per quale motivo non si estenda l’obbligatorietà del protocollo 14065 per tutti. Abbiamo posto l’attenzione alla compatibilità ecologica di processo, per rispetto dei nostri clienti, ma anche dei nostri dipendenti che trattano la biancheria. Nel momento in cui è esplosa questa pandemia c’è stata un’impennata di richieste di prodotti che fossero il risultato di un processo certificato. Noi siamo pronti da molti anni, ma la vera questione è che non c’è una sensibilità e non c’è una cultura diffusa che spinga in questa direzione”.
“Noi abbiamo la nostra sede a Castellina di Soragna in provincia di Parma ma siamo presenti con le nostre centrali di sterilizzazione in molti altri luoghi in Italia (in particolare nel centro nord) ma anche all’estero”, precisa Luigino Zacconi, Direttore di produzione lavanderie per conto di Lavanderia Servizi Italia. “Ci occupiamo del lavaggio e del noleggio delle lenzuola, delle divise da lavoro di tutto il personale ospedaliero, ma anche della sterilizzazione degli strumenti chirurgici e del tessile per la sala operatoria”. Avete avuto delle ripercussioni negative in termini di fatturato da marzo ad oggi? “Abbiamo avuto un calo del lavoro e contestualmente si è modificato il modo di lavorare. Abbiamo avuto un forte aumento della biancheria confezionata, in particolare degli abiti per i medici e una forte riduzione della biancheria da letto. Tutto ciò perché si è avuta la conversione dei diversi reparti ospedalieri in reparti Covid. Abbiamo subito un aggravio di costo del lavoro in quanto la manutenzione di un abito da lavoro comporta l’utilizzo di più tempo per unità di prodotto rispetto alla biancheria piana, quest’ultima, poi, ha subito una consistente riduzione a seguito del crollo dei numeri della degenza ordinaria. Abbiamo avuto una forte riduzione anche della biancheria per sala operatoria, perché l’emergenza Covid ha portato all’interruzione degli interventi chirurgici non emergenziali, ma così anche per la sterilizzazione dei ferri chirurgici. Da segnalare anche un aumento delle richieste di sanificazione e lavaggio della materasseria. Uno stravolgimento del modo di lavorare, insomma. Noi manuteniamo, con delle procedure specifiche, abiti dichiaratamente
infetti e con l’avvento della pandemia abbiamo processato tutto come se fosse infetto.
Della stessa azienda interpelliamo anche Andrea Gozzi, Direttore Generale, che ci spiega: “il nostro settore non gode di una corretta correlazione tra la tipologia contrattuale e l’adempimento reale dei servizi. I nostri contratti sono per lo più a canone, commisurato a criteri precisi: per le giornate di degenza o per il numero degli operatori sanitari che vestiamo. Un’alterazione della frequenza dei cambi alimenta dei costi di produzione maggiori che non corrispondono ai driver di fatturazione. Nel settore sanitario si è ingaggiata una battaglia, quella di trasformare il contratto da canone per degenza e per operatore a pezzo effettivo fornito. Cioè una più corretta correlazione tra i costi industriali e i nostri ricavi. Un contratto di questo tipo attenuerebbe gli effetti negativi che stiamo avendo in periodo di Covid”.
“Noi ci occupiamo principalmente del settore delle case di riposo e RSA e copriamo circa 19 mila posti letto nei laboratori emiliano e lombardo, mentre il terzo in Friuli, si occupa sia di case di riposo che di alberghi”, ci illustra Donato Errico della lavanderia Domani Sereno Service, di Pessano con Bornago (Mi). Da febbraio a marzo abbiamo avuto un incremento del lavoro, in quanto in prima battuta i degenti Covid li hanno spostati dagli ospedali alle Case di Riposo. Poi quando si sono accorti che la vicinanza ai soggetti fragili stava determinando una moria collettiva hanno effettuato una inversione di marcia: da aprile a luglio hanno chiuso le RSA a nuovi ingressi e quindi il lavoro è calato, determinando perdite per la nostra lavanderia del 30%. Pensavamo come lavanderia industriale nell’ambito delle RSA di essere immuni ad un calo di questo tipo, ma con questa crisi sanitaria si è verificato. Dalla metà di giugno hanno poi riaperto le liste di attesa anche se i tempi di ingresso sono diventati lunghissimi. La piattaforma di Milano (Pessano con Bornago) copre le RSA di Lombardia, Piemonte e Valle D’Aosta. La piattaforma emiliana (Reggio Emilia) copre l’Emilia Romagna, le Marche e la Toscana. La piattaforma del Friuli (Gorizia), invece, copre il nord est e la Slovenia. Questa è la geo articolazione del nostro gruppo. In virtù dei protocollo di sicurezza anche per i nostri lavoratori, le strutture sanitarie che supportiamo, sono obbligate a segnalarci il numero dei casi Covid presenti nelle strutture stesse e consideri che nel giro di una settimana (dal 16 al 23 ottobre) i casi che ci hanno segnalato di contaminazione sono più che raddoppiati arrivando a lambire i dati di marzo”, un segnale inequivocabile confermato dalla crescita dei casi anche nelle prime due settimane di novembre.
Un reportage diverso da tutti gli altri, scandito nei diversi passaggi e nelle diverse interviste, dalla richiesta, da parte di tutti gli operatori e dai protagonisti di questo mercato, di una presa di coscienza e consapevolezza da parte del governo della necessità di un
supporto della “filiera lunga”. Con il Decreto Ristori bis l’intervento governativo c’è stato, che sia sufficiente ad arginare la crisi esistente è francamente tutto da verificare…
di Marzio Nava
DETERGO
NOVEMBRE 2020