Un reportage, questo mese, che è in realtà un giro d’orizzonti, un confronto ad ampio raggio con i responsabili delle Associazioni di categoria, sulle questioni più importanti e dirimenti sul tappeto. Tematiche che sono in parte comuni alle piccole e medie imprese, ma che in parte sono strettamente connesse all’attività più specifica della lavanderia artigianale. La tavola rotonda si è svolta con Franco Pirocchi, Presidente di Assosecco (Confcommercio), Maurizia D’Agostino, Presidente di CNA e Carla Lunardon, Presidente di Confartigianato
Iniziamo con l’affrontare e cercare di capire l’andamento economico del settore. In particolare le spinte inflattive e l’innalzamento dei tassi d’interesse erodono le possibilità di ricorrere al credito, se non con più alti costi. Il volume di attività è senza dubbio aumentato rispetto agli anni precedenti ma l’incertezza dal lato dei costi è una Spada di Damocle per le imprese. Alla luce di tutto ciò come sono andati i primi mesi del 2023 e quali prospettive intravedete per la seconda parte dell’anno?
F. Pirocchi. L’inflazione e l’aumento dei costi dell’energia hanno inciso profondamente ed incidono tuttora negativamente sul settore, costringendo le lavanderie ad aumentare i prezzi di listino, con la conseguente riduzione dei flussi e quindi degli incassi. Infatti, se da un lato tutto aumenta, dall’altro non c’è un adattamento adeguato degli stipendi, per cui le famiglie si trovano costrette a rivedere i propri bilanci, tagliando costi e servizi non essenziali: purtroppo, per molte di esse, la lavanderia è tra questi. Il settore, dunque, assiste e sopporta una riduzione dei passaggi, che non viene compensata dall’aumento dei prezzi di listino e ciò rende estremamente difficile la gestione di un’attività che già soffre, per sua natura, di un andamento caratterizzato da alti e bassi legati alla stagionalità ed alle bizze del clima. In questa situazione di estrema incertezza diventa problematico programmare acquisti ed investimenti e soprattutto, per le micro imprese, che pur rappresentano il 70% del settore, è quasi impossibile l’accesso al credito.
C. Lunardon. Stiamo attraversando una fase davvero turbolenta. Dopo la pandemia c’è stato un positivo rimbalzo dell’economia italiana interrotto bruscamente dalla guerra scoppiata ai confini dell’Europa. Costi energetici alle stelle, inflazione a due cifre e conseguente aumento dei costi dell’accesso al credito sono state le conseguenze più negative per il nostro settore. Ma la reazione del tessuto imprenditoriale nazionale è stata straordinaria. Nonostante gli ostacoli, le nostre imprese hanno continuato a erogare il servizio di manutenzione spesso assorbendo parte degli aumenti e quindi tenendo a bada l’aumento per i consumatori. Anche il più oneroso accesso al credito non ha fermato gli investimenti. Il nostro settore si sta riposizionando sverso un servizio ancora più professionale e attento all’ambiente: nuove macchine, nuovi prodotti, consumi più bassi sono le chiavi del successo. E sempre più colleghi si stanno impegnando anche con grandi sacrifici.
Per la seconda metà del 2023? Noi faremo del nostro meglio e altrettanto ci attendiamo dal Governo, in particolare in tema di tassazione dell’energia che oggi tocca il 51% della bolletta e penalizza le piccole imprese che pagano la maggior parte degli oneri generali di sistema in bolletta dedicati, tra l’altro, a finanziare le agevolazioni per le aziende energivore. In barba al principio “chi inquina, paga”, questa iniqua distribuzione del carico contributivo gonfia del 35% il costo finale dell’energia dei nostri laboratori che finiscono per pagare l’elettricità 4 volte di più rispetto a una grande industria. Da molto tempo Confartigianato auspica una revisione finalizzata a riequilibrare il peso del fisco sulle diverse dimensioni di imprenditori-utenti. Per questo occorre, innanzitutto, eliminare definitivamente gli oneri di sistema dalle bollette elettriche delle imprese. L’azzeramento avvenuto nel corso del 2022 per effetto dei provvedimenti emergenziali dimostra che è un’operazione possibile e che va resa strutturale. Quello che mi preoccupa di più è che non è pensabile che un titolare di lavanderia passato già dai 7mila euro mensili di bolletta del 2021 ai 14mila del 2022 debba ora aggiungerci, da quest’anno, anche circa 2mila euro al mese per gli oneri generali del sistema elettrico. La corretta collocazione degli oneri generali del sistema elettrico non è nella bolletta.
M. D’Agostino. Il volume d’affari è generalmente aumentato per due motivi, il primo dovuto al fatto che il numero delle lavanderie sta calando e il secondo dall’aumento dei prezzi per compensare l’aumento dei costi. La seconda parte dell’anno per le attività che continueranno a lavorare sarà sicuramente in crescita grazie ad un ritorno alla normalità rispetto ai tempi del Covid. Non possiamo dire che sia un lavoro attrattivo per i giovani, non ci sono scorciatoie, serve esperienza, capacità imprenditoriale fatica ed impegno costante. Per cui chi resiste lavora ma deve fare i conti con il costante aumento dei costi delle materie prime. Se è vero che i costi energetici si sono abbassati rispetto allo scorso anno è anche vero che si nota un costante aumento dei prezzi di tutti quei prodotti di uso quotidiano, saponi, grucce e quant’altro.
Non si capisce se gli aumenti siano reali o dovuti anche in parte a una sorta di speculazione in corso. In un contesto così complesso anche le lavanderie devono rimodulare il loro approccio al mercato. La pandemia ha modificato i bisogni e le necessità dei consumatoti e ha fatto spazio a nuove tipologie di servizi che finora non avevamo mai preso in considerazione (raccolta e consegna a domicilio, tanto per citare le cose più scontate) Dobbiamo iniziare a ragionare con una visione più imprenditoriale, per gestire una lavanderia non basta la sola professionalità legata al mestiere, serve saper comunicare con il cliente, saper raccontare il valore che c’è dietro l’attività di una tintolavanderia, serve una valutazione accurata e sostenibile dei costi di gestione della propria attività, dove la tecnologia assume un ruolo sempre più impattante.
Passiamo alla parte più squisitamente lavoristica e dell’organizzazione del lavoro all’interno dell’attività. Alla fine di quest’anno scadrà il contratto collettivo nazionale di settore, che peraltro è legato a quello della moda e del tessile, quali sono le vostre richieste e quali sono le questioni più impellenti da affrontare? Pensate ad una piattaforma comune o comunque pensate di muovervi in sintonia con le altre Associazioni?
C. Lunardon. Il rinnovo del contratto è uno degli appuntamenti sindacali più importanti di una categoria e le pulitintolavanderie non fanno eccezione. Ovviamente noi siederemo al tavolo del rinnovo del CCNL artigianato e, come di consueto, valuteremo assieme alle altre organizzazioni la piattaforma che arriverà dai sindacati. Affrontiamo questo appuntamento con particolare intessere dato che, per l’artigianato, nel rinnovo del CCNL una parte consistente del confronto verterà sulla Bilateralità che significa esplorare un sistema integrato di welfare collettivo di carattere inclusivo e partecipativo, che rientra a pieno titolo nella politica retributiva aziendale in quanto si pone l’obiettivo di garantire maggiore soddisfazione ai dipendenti per aumentarne il benessere e migliorare la produttività. In questo ambito parleremo certamente di sanità integrativa, previdenza integrativa e welfare aziendale.
M. D’Agostino. Ovviamente, come è sempre stato anche per il passato, la trattativa sul rinnovo contrattuale si fa sempre in sintonia con le altre Confederazioni del comparto, questa è una procedura ormai consolidata. Da una prima riflessione ci piacerebbe poterci confrontare su alcune proposte: a) riduzione dei costi a carico dell’azienda in caso di eventi di malattia ripetitivi e di breve durata di un singolo lavoratore; b) estensione delle fasce orarie dell’obbligo di rimanere presso il proprio domicilio durante i periodi di malattia equiparandole a quelle del pubblico impiego; c) estensione causali del lavoro a tempo determinato; d) strutturare un premio aziendale detassabile al raggiungimento di determinati parametri legati alla produttività del singolo lavoratore e fatturato aziendale, laddove non esista la contrattazione a livello regionale; e) previsione di un bonus permessi/ferie per i lavoratori meno assenteisti. Ovviamente sono tutte tematiche sulle quali ci dovremo confrontare con i sindacati dei lavoratori.
F. Pirocchi. Alla fine di novembre, Assosecco si è confrontata con Confartigianato Veneto per discutere su come intervenire sul nostro CCNL, in scadenza il prossimo 31 dicembre, in merito ad una riorganizzazione del rapporto stagionale e l’eventuale inserimento dei rapporti di lavoro a chiamata (lavoro intermittente – job on call). In particolare, nasce l’esigenza di sganciare le assunzioni stagionali da quelle a tempo determinato, con tutti i limiti del Decreto Dignità. L’idea è rafforzare le attuali casistiche individuate nel nostro CCNL, per i contratti a termine stagionali, così da avere accesso ad assunzioni limitate solo ai mesi di punta, senza vincoli, né limitazioni rispetto al requisito di stagionalità. Un’altra proposta di modifica riguarda l’introduzione di una regolamentazione per i contratti a chiamata, che permetterebbero di assumere personale in regola per brevi periodi con l’erogazione di una retribuzione comprensiva delle quote di mensilità aggiuntiva, ferie e permessi. Come noto, in tal senso, l’unica possibilità che, fino allo scorso anno, aveva il nostro settore era quella costituita dal “lavoro autonomo occasionale (o “contratto d’opera”), strumento di dubbia applicazione e soggetto ad infinite contestazioni da parte degli istituti e del sindacato.
Al di là delle questioni inerenti alla contrattazione collettiva ci sono altre problematiche che impensieriscono o comunque minano lo sviluppo di questo settore specifico? Ad esempio, abusivismo, concorrenza sleale sono ancora un elemento preoccupante? Quali sono le altre insidie ma anche i punti di forza dai quali ripartire?
M. D’Agostino. L’abusivismo è un tema sempre caldo che danneggia soprattutto chi lavora con professionalità e rispetto delle regole, pertanto non possiamo mai abbassare la guardia. Sicuramente un elemento che turba lo sviluppo del settore delle pulitintolavanderie è la concorrenza sleale che viene messa in atto da moltissime lavanderie a gettone che anziché mettere a disposizione le lavatrici e gli essiccatoi offrono alla clientela veri e propri servizi di assistenza diretta al lavaggio, servizi di stiratura, sartoria, ritiro e consegna a domicilio. Si stanno inoltre diffondendo piattaforme che offrono servizi on-line a prezzi stracciati, spesso utilizzando personale casalingo (rigorosamente in nero) nelle operazioni di stiratura e non solo. È un fenomeno tuttora presente, in maniera particolare nelle grandi città, anche se grazie ad una certa saturazione del mercato (soprattutto quello delle self service) attualmente non sta assumendo contorni preoccupanti. Il vero problema è la mancanza di controlli sui quali abbiamo davvero poco potere perché non spetta a noi farli. Quello che invece possiamo fare come associazione è invece investire sulla formazione tecnica e sulla formazione imprenditoriale.
Lo sviluppo del settore, e anche il contrasto all’abusivismo, passa attraverso un costante rinnovamento culturale, innovazione tecnologica, elevate competenze professionali, capacità di adattarsi ai cambiamenti del mercato. Come CNA abbiamo fatto un investimento importante sulla formazione per i nostri associati attraverso un percorso che tocca i temi di maggiore interesse per le imprese: Fibre e tessuti, etichettature, lavaggi e elementi di chimica, comunicazione e gestione del cliente. Il corso è realizzato in modalità e-learning, sulla nostra piattaforma, fruibile in totale flessibilità, nel rispetto dei tempi di lavoro dell’impresa. Altre insidie, sulle quali poco possiamo incidere, sono prima di tutto l’aumento spesso ingiustificato delle materie prime. Esempio lampante il decuplicare da un anno all’altro dei costi per l’energia elettrica. Ultimo, ma non meno importante, è la difficoltà ad ottenere credito dagli istituti bancari a costi sostenibili. L’avvento di sempre più nuovi tipi di filato sintetico riduce la necessità dei clienti di rivolgersi in primis alle lavanderie perché facilmente lavabili a casa.
C.Lunardon. Di recente il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, ha avviato una consultazione relativa allo schema di Decreto che introduce un sistema di responsabilità estesa del produttore (EPR, Extended Producer Responsibility) per il settore del tessile e della moda. Noi siamo convinti di avere un ruolo fondamentale. Per garantire longevità ai capi sarà infatti necessario assicurare la possibilità di una corretta manutenzione. Possibilità che passa per l’obbligo di apporre una etichetta (anche digitale) di manutenzione (in Italia questo non è ancora un obbligo a differenza di altri Paesi Europei ed extra Europei) che non solo sia corretta -sono ancora molti i casi di etichette errate che fanno rovinare i capi sia in casa che da noi professionisti- ma che, per legge, non possa riportare tutte le tipologie di lavaggio barrate. Questi casi, meno rari di quanto si pensi, si possono tradurre in un solo modo: questo capo è “usa e getta”. Per essere al centro di questa rivoluzione ambientale è però necessario da un lato essere professionalmente preparati aggiornandosi costantemente e dall’altro avere a disposizione macchinari di ultima generazione. Ma, come detto prima, la categoria sembra essere sensibile su questo fronte.
F.Pirocchi. Come in tutti i settori, anche nel nostro sussiste il fenomeno rappresentato da coloro che trovano e praticano “scorciatoie”, provocando un’intollerabile concorrenza sleale rispetto alle attività che si muovono in modo virtuoso, nel rispetto delle leggi e dei regolamenti. Purtroppo, l’assenza di controlli adeguati da parte delle autorità competenti, non agevola le buone pratiche e causa punte di abusivismo difficili da stanare e sradicare. Ciò che, invece, rappresenta un freno allo sviluppo ed alla crescita del settore, nella sua componente imprenditoriale, sono i vincoli che i grandi centri commerciali impongono ad un settore che resta ed è artigianale ed i limiti che ne derivano: in particolare gli orari di apertura, i costi di locazione e di esercizio costituiscono un vero e proprio problema per bilanci che godono di una ristretta marginalità, ma anche per la stessa ricerca di personale, poco disposto a rinunciare alle festività o a trattenersi sul posto di lavoro fino a tarda ora, o ai manutentori che operano in orari limitati e raramente nei festivi ecc.. In tal senso, in Cina, negli USA, come del resto nel Regno Unito ed in altri stati europei si sta sviluppando una rete di veri e propri pickup point gestiti quasi prevalentemente in automatico da software basati su AI (Intelligenza Artificiale). Come spesso accade, il nostro Paese è un po’ in ritardo su questo fronte, complice anche l’elevata età media di noi italiani e la scarsa propensione a confrontarci con simili automazioni, ma è facilmente prevedibile che nel giro di qualche anno il gap sarà superato e potremo assistere allo sviluppo di queste attività smart in molti dei nostri quartieri.
Una delle questioni dolenti per le imprese in Italia, ma anche in altri Paesi europei, è il calo della forza lavoro e la difficoltà di trovare giovani qualificati e professionalmente preparati. La crisi demografica dovuta alla denatalità con il progressivo invecchiamento della popolazione mettono a dura prova la tenuta dell’eccellenza manifatturiera di matrice artigianale. Come arginare questa tendenza favorendo un’inversione di marcia?
F. Pirocchi. La formazione e la ricerca del personale sono causa e conseguenza di uno stesso problema, legato, appunto, allo sviluppo di nuove tecnologie, per le quali il sistema paese è ancora in ritardo. Va detto che la maggior parte delle lavanderie, essendo micro imprese, ovvero ditte individuali con fatturati inferiori ai 65k non hanno dipendenti, né potrebbero permetterseli: si reggono prevalentemente sul lavoro e la presenza della titolare o al massimo di un loro famigliare. Le imprese più strutturate soffrono invece sulla ricerca e sulla gestione del personale, che è prevalentemente femminile e quindi soggetto a sostenere permessi per maternità o problematiche legate alla famiglia. Per superare queste difficoltà c’è un solo modo e cioè rendere sempre meno specializzato il lavoro, standardizzando al massimo i processi di produzione, avendo così la possibilità di ridurre al minimo la formazione e consentire più agevolmente il turn over.
Alcune industrie del settore si stanno muovendo in questo senso offrendo macchine in grado di garantire ottimi livelli qualitativi e produttivi abbinati ad un’estrema facilità d’uso: si pensi ai manichini che stirano camicie e capi spalla, presse automatiche che stirano pantaloni di tutti i tipi ecc. ecc. Certo, sono macchine che esprimono al meglio le proprie performance in ampi spazi, cioè in laboratori attrezzati, ma se il futuro sarà fatto in larga parte da recapiti automatici, anche all’interno dei centri commerciali, il tutto si coniuga perfettamente con le caratteristiche del nostro settore, consentendo di offrire un buon servizio e nel contempo di far quadrare i nostri bilanci. In ultima istanza se le future politiche italiane cesseranno di pagare le persone per starsene a casa, ma, come dovrebbe essere scontato in un Paese manifatturiero, le aziende saranno incentivate ed aiutate ad assumere mano d’opera, nel rispetto della contrattualistica nazionale, la situazione non potrà che migliorare ed assestarsi in un contesto di normalità e ciò, ovviamente, vale non solo per il nostro settore, ma per l’intero sistema economico della nostra Nazione.
M. D’Agostino. In realtà il calo demografico nel nostro settore non impatta molto in quanto l’attività delle pulitintolavanderie non è un’attività di pieno interesse per i giovani perché molto gravose dal punto di vista fisico. Inoltre, il calo demografico è compensato dalla presenza sempre maggiore di lavoratori stranieri. Forse servirebbe ritornare ad occuparci delle scuole professionali, che negli anni abbiamo demolito, e raccontare la bellezza del fare impresa e valorizzare le professioni artigiane che oggi non sono più appetibili perché poco conosciute e per nulla raccontate. Forse bisognerebbe trarre spunto da quanto è successo in altri settori altrettanto faticosi e impegnativi che, grazie a campagne mediatiche o reality show (vedi il fenomeno Cracco o Cannavacciuolo) hanno acquisito nuovo lustro e riempito gli istituti alberghieri. Bisogna fare leva sulla realizzazione personale, sul fatto che un artigiano è imprenditore di s’è stesso e anche un datore di lavoro. Un’impresa dove le capacità personali, la creatività e l’intraprendenza giocano un ruolo determinante e possono fare la differenza. Sarebbe utile, inoltre, che ci fosse anche un’attenzione da parte del decisore politico che faciliti la vita (con sgravi fiscali, agevolazioni per l’accesso al credito o incentivi di altro tipo) a chi decide di fare impresa e scommettere sul proprio futuro.
C. Lunardon. Il cosiddetto “inverno demografico” colpisce due volte le imprese di piccola dimensione come i nostri laboratori. I giovani sono merce rara e sempre con maggiore difficoltà troviamo giovani disposti a venire a lavorare con noi e soprattutto sono sempre meno i giovani che si avvicinano al mestiere con l’intenzione di farne una professione come imprenditori. È nostro compito, come classe dirigente di categoria, individuare gli strumenti e le soluzioni che rendano più attrattivi i nostri negozi. È sicuramente una questione di ambiente -salubrità, pulizia, macchinari e processi innovativi- di possibile crescita professionale, ma soprattutto di capire le esigenze -nuove, anzi, diverse- che i giovani hanno nei riguardi del lavoro: più tempo libero, maggiori tutele, incentivi non economici ma di welfare e servizi. I giovani chiedono condizioni di maggior benessere all’interno dell’ambiente professionale. Previdenza, salute, conciliazione vita-lavoro, diversità e inclusione. Sicurezza, sostegno economico a loro ed alle loro famiglie, formazione. E attraverso un ragionato bilanciamento di questi fattori che un’azienda crea una dimensione di welfare per chi vi lavora, per la comunità in cui è insediata e, non da ultimo, per sé stessa. È, come ho accennato prima, tutto ciò le nostre imprese possono e potranno ancor di più dopo il rinnovo del CCNL, offrirlo attraverso la bilateralità. •
di Marzio Nava
DETERGO Magazine # Giugno 2023