REPORTAGE — Il fattore Bio alimenta le lavanderie che hanno futuro

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I fornitori di macchine e prodotti rivelano che nella manutenzione del tessile innovano in sostenibilità imprese industriali e artigiane appartenenti a una nicchia sempre più grossa, tutte impegnate a conquistare il mercato nel segno della qualità e non del prezzo più basso. A caratterizzarle è il prevalere del concetto di Benessere su quello di Pulito, così da soddisfare la crescente domanda di tutela ambientale proveniente dalla clientela. Per la quale determinate certificazioni fanno realmente la differenza, orientando la scelta verso chi garantisce la salute prima ancora di un bianco splendente

La storia dell’aggettivo “ecologico” è nota. Da chiave di volta per la salvezza del genere umano, nel giro di pochi anni è diventata appendice, più o meno posticcia, con cui giustificare, e pubblicizzare, l’esistenza di qualsiasi cosa, compresi i principali indiziati del nostro quotidiano inquinamento, e quindi vai con i motori, i cementi, i gas, i concimi, le carte e perfino le plastiche rigorosamente “ecologiche”.
Tanto è vero che, in tempi recenti, si è cominciato a sbandierare, come più efficacie e circostanziato, il termine “bio”, abbreviativo di biologico inizialmente in voga soprattutto nel settore alimentare, ma oggi applicato a qualsiasi genere di prodotto identificabile per un suo integrale adeguamento al rispetto della natura, nonché alla tutela dell’ambiente in cui viene diffuso e utilizzato. In questo contesto, il mondo della lavanderia non poteva certo sottrarsi a un percorso “bio”, reso necessario dalle finalità stesse della manutenzione del tessile attraverso processi di lavaggio da sempre soggetti a conformarsi da una parte alle innovazioni chimiche e tecnologiche del settore, e dall’altra alle mutate richieste ed esigenze del mercato.
“Da qualche anno a questa parte il fattore bio sta rivoluzionando radicalmente l’intero indotto della lavanderia” esordisce sul tema Marco Niccolini, direttore commerciale della Renzacci, che produce macchine per la lavanderia a Città di Castello. “Tanto è vero – continua Niccolini – che oggi il cliente antepone il concetto di Benessere a quello di Pulito, come si può apprendere dal portale “iotilavobio”. Non si accontenta più del bianco splendente che, anzi, può guardare addirittura con sospetto pensando alle modalità impiegate per ottenerlo, e chiede invece la restituzione di capi trattati nel rispetto integrale dell’Ambiente e della salute umana, utilizzando ad esempio prodotti ipoallergenici e biodegradabili. Ne consegue il cambiamento epocale che sta interessando i negozi di lavanderia, non più antri quasi inaccessibili come erano fino a una ventina di anni fa, ma luoghi aperti, dove confrontarsi su cosa oggi significa lavare, in che modo, e a quale prezzo. Ne hanno preso atto anche le aziende  associate in Federmoda, aggiornando i propri parametri di riferimento in tema di morbidezza e colore del capo lavato”.
Lungo questo percorso diventa ovviamente cruciale il contributo del settore chimico, da sempre oggetto di attenzioni particolari in tema di tutela ambientale. “Un aspetto fondamentale diventa quello delle certificazioni” spiega in materia Riccardo Bassan, che nel Milanese si occupa di marketing per il settore “professional” in un’azienda chimica come Christeyns Italia. “Nel nostro Paese fanno ancora testo i Cam, ovvero i Criteri ambientali minimi – continua Riccardo Bassan – richiesti per operare in determinati ambiti, e ottenibili da parte dell’azienda rivolgendosi a un istituto o laboratorio di propria fiducia, senza l’imprimatur di un ente terzo. Questa terzietà è invece alla base della certificazione Ecolabel seguita da Christeyns, e rilasciata direttamente dalla comunità europea, che paga il laboratorio a cui affida le analisi, conferendo alla fine un marchio di assoluta attendibilità. Il marchio Ecolabel garantisce tre requisiti fondamentali: 100% di biodegradabilità, maggiore concentrazione del fattore chimico, efficacia del prodotto testata confrontandolo con il prodotto di mercato non-ecologico leader, rispetto al quale deve possedere requisiti uguali o superiori in termini di competitività”.
“Il fattore “bio” oggi non solo conta, ma segna la differenza fra le lavanderie industriali”. Sul tema ecco la tesi di Venere Mattioli, direttore commerciale di Montega, che a Misano Adriatico, nel Riminese,
produce specialità chimiche per la cura del tessile. Dopodiché entra così nel dettaglio, Mattioli: “Mi riferisco ai risultati della nostra sperimentazione, tesa a garantire risultati sempre più elevati per quanto riguarda aspetti come la biodegradabilità o l’emissione di ossido di carbonio. Questi esiti attecchiscono abitualmente nella nicchia delle 150 lavanderie industriali che, fatturando di media dieci milioni all’anno, in Italia costituiscono molto più di un’avanguardia, ma una vera e propria Serie A del settore. A rimarcarlo sono le differenze sempre più marcate in termini di qualità rispetto alle altre, ancorate alla sterile legge del prezzo imposta dal cliente finale”.
A questa stessa nicchia fa riferimento anche Marco Vaccari, co-titolare assieme a Roberto Castelli della Surfchimica di Peschiera Borromeo, nel Milanese. “Esiste un mercato talmente recettivo nel confronto del nuovo – racconta Vaccari – che alcune aziende nostre clienti accettano da tempo di testare i prodotti su cui investiamo in ricerca. Operando in questo modo, si arriva a conseguire risultati sempre più importanti, estesi all’intera filiera utilizzata nel lavaggio ad acqua: detersivo, smacchiatore,  ammorbidente, rafforzatore. Per tutti e quattro questi prodotti oggi sono possibili soluzioni totalmente vegetali, derivati da estratti di piante, con 1% di tensioattivi e ph neutro. Fino a pochi anni fa ciò non era neanche pensabile, segno che il fattore bio oggi indica la via del futuro, nella lavanderia”.
La rivoluzione bio è così diffusa da investire anche il settore dello stiro. “In uno stiro di eccellenza – si legge in un comunicato della Pony di Inzago, nel Milanese – oggi si deve porre particolare attenzione alla ricerca di soluzioni innovative, per una progressiva riduzione del consumo energetico e per la sostenibilità ambientale. Nel corso degli anni le caratteristiche costruttive delle macchine e la scelta delle componenti sono sempre più orientate in tale direzione, sperimentando e adottando soluzioni innovative come lo spessore delle coibentazioni, le resistenze in acciaio, i motori di ultima generazione e l’impiantistica elettropneumatica a basso consumo”.
“Il settore dello stiro, inteso come trattamento postlavaggio, estende sempre di più il suo raggio d’azione” rimarca Walter Cividini, amministratore delegato della Fimas di Vigevano. E precisa: “Mi riferisco a prodotti come smacchiatrici che funzionano con prodotti bio-degradabili, ma anche a cabine a ozono in grado di igienizzare indumenti altrimenti non lavabili, come le tute ignifughe date in dotazione ai vigili del fuoco. Il presente, ma anche le tendenze riguardanti il futuro, ci parlano di un utilizzo sempre più esteso di materiali, fibre e accessori nell’abbigliamento: di conseguenza la componente bio nei processi di lavanderia potrà solo svilupparsi ulteriormente”. •

di Stefano Ferrio

Rivista Detergo Luglio/Agosto 2018