P G P PICCOLA GUIDA DEL PULITINTORE – Il rischio chimico nel trattamento dei tessili

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Può un abito costituire una fonte di rischio per chi lo indossa? La risposta, pur senza troppi allarmismi, è certamente positiva. Un tessuto può costituire una minaccia per la salute dell’utilizzatore, soprattutto quando questo rientra nella categoria dei più piccoli di età.

1fot Documento6-001Ma in che modo un tessile può portare a un rischio? Normalmente si usa rispondere suddividendo l’argomento su tre livelli di rischio: il rischio chimico, per la presenza nel tessile di sostanze chimiche nocive per l’uomo, il rischio fisico meccanico, tipicamente associato al mondo bambino per la presenza di lacci o stringhe o piccole parti che possono indurre strangolamento o soffocamento, e infine il rischio fuoco, connesso all’infiammabilità dei tessuti tipicamente destinati alla pigiameria.

In questo approfondimento ci soffermeremo sulla prima classe di rischio, il rischio chimico.

In base ad un recentissimo studio dell’Agenzia Danese per la Chimica (KEMI (Swedish Chemical Agency) – Chemicals in textiles – Risks to human health and the environment – Report from a government assignment – 2014) risulta che circa il 10% delle 2400 sostanze connesse al ciclo produttivo tessile è considerato potenziale fonte di preoccupazione per la salute umana. E che circa il 5% è considerato potenziale fonte di preoccupazione per l’ambiente.

Ecco perché, pur evitando un eccessivo allarmismo in merito, è importante conoscere le problematiche legate alla presenza di sostanze chimiche nei tessili, per attuare comportamenti idonei alla protezione della salute, soprattutto dei più piccoli.

Fra tutte le reazioni avverse provocate dai tessili una particolare attenzione va riservata a quelle che si attuano a livello cutaneo, cioè dermatiti e sensibilizzazioni. Le sostanze chimiche allergizzanti costituiscono la prima fonte di minaccia nel contatto tra la pelle e il tessuto.

2fot Documento6-001Tutti i tessuti possono dunque provocare allergia?

La risposta è non tutti, anzi, ma i tessuti tinti, costituiti da poliestere sono i principali candidati a farlo.

Tessuti in poliestere e coloranti dispersi

Per comprendere bene il motivo per cui i tessuti di poliestere possono essere coinvolti in reazioni allergiche è importante fare un piccolo approfondimento sulla natura chimica dei coloranti che vengono utilizzati. Il poliestere è una fibra sintetica praticamente prima di siti chimici adatti ad ancorare e legare i classici coloranti utilizzati per tingere le altre fibre. Questo è il motivo per cui devono essere utilizzati dei coloranti specifici che vanno sotto il nome di dispersi: si tratta di molecole piccole, con carattere idrofobico, cioè non affini all’acqua e da questo deriva il nome “dispersi”, perché non si sciolgono nel bagno di tintura, ma si disperdono solamente.

3 foto Documento6-001Durante le operazioni tintoriali la fibra di poliestere rigonfia e le piccole molecole riescono a penetrare nei pori della fibra. Tuttavia esiste sempre una piccola frazione di colorante che rimane in superficie sulla fibra e questo rende necessaria una operazione finale post-tintura detta stripping, con la quale si elimina l’eccesso di colorante.

Polvere di colorante

Patch test per determinare l’eventuale reazione allergica
Patch test
per determinare
l’eventuale
reazione allergica

Se l’operazione di stripping non è eseguita a regola d’arte il tessuto di poliestere, in particolare quanto è tinto con toni intensi, può essere carico di colorante non fissato e quindi facilmente migrabile.

La particolare composizione chimica di questi coloranti, lipofili, li rende molto affini alla pelle dalla quale tenderanno ad essere adsorbiti facilmente, scatenando, se il soggetto è predisposto, reazioni allergiche anche severe.

La migrazione dei coloranti dispersi dal poliestere è particolarmente agevolata dalla frizione, dalla sudorazione e dal sovrappeso dell’utilizzatore. Ecco perché le principali reazioni allergiche sono localizzate nella zona ascellare, inguinale, della piegatura dell’avambraccio….

Tipica reazione allergica Typical allergic reaction

Tipica reazione allergica
Typical allergic reaction

 

 

Come diagnosticare la presenza di colorante non ben fissato al tessile?

In laboratorio la presenza di colorante non ben fissato alla fibra viene verificata mediante la seguente 6 foto Documento7-001determinazione analitica:

Solidità del colore allo sfregamento a secco e a umido – UNI EN ISO 105 X12

Lo strumento utilizzato è il crockmeter; un tessuto bianco in cotone (tessuto testimonio) viene caricato su una caviglia e fatto sfregare con movimento rettilineo per 10 volte sul tessuto, sia a secco che in condizioni di bagnato. Dopo rimozione si valuta lo scarico di colore sul tessuto e si assegna un punteggio mediante una scala visiva di riferimento, detta scala dei grigi dello scarico. Il valore 5 indica nessuno scarico di colore mentre il valore 1 indica lo scarico massimo di colore.

 

 

7 foto Documento6-001

Scala dei grigi
dello scarico
Gray scale
of transfer

 

Scala dei grigi dello scarico Gray scale of transfer
Scala dei grigi dello scarico
Gray scale of transfer

In presenza di uno scarico a secco inferiore a 4 il materiale possiede sicuramente una tendenza allo scarico del colore non trascurabile ed è opportuno intervenire, se possibile, con una operazione di stripping.

Per l’utilizzatore esiste un modo per gestire efficacemente il problema?

Il comportamento più idoneo da adottare nel caso di utilizzatori particolarmente sensibili a livello cutaneo è, in primis, la verifica della composizione chimica del tessuto che si intende indossare, seguita dalla scelta di non utilizzare mai il materiale a diretto contatto con la pelle ma interponendo un tessuto bianco in cotone. Molto utile potrebbe essere anche la verifica empirica della tendenza del materiale a scaricare colore, con la classica prova del fazzoletto bianco sfregato sul tessuto, che traduce sul piano della concretezza i concetti esposti per la determinazione analitica.

La problematica dei coloranti dispersi nel poliestere è senz’altro una delle più note in relazione alla crescente incidenza delle dermatiti da contatto. Esistono tuttavia altri aspetti molto sensibili, come ad esempio l’uso massiccio di resine per conferire caratteristiche particolari ad alcuni prodotti, o i trattamenti con particolari biocidi, ad esempio il dimetilfumarato, in grado di scatenare violente reazioni allergiche. E’ opportuno comunque rassicurare il lettore sul fatto che è in corso da qualche anno una intensa attività sia di regolamentazione legislativa da parte delle Autorità Competenti sia di adeguamento volontario delle aziende produttrici alle sempre più pressanti richieste di detossificazione della filiera tessile.

A cura di ecochem s.r.l. e Ritex Centro Ricerche e Prove Tessili

di Roberta Binotto

Rivista Detergo – Dicembre 2014