Paper on the table growing uncheckedLa carta sulla tavola una crescita senza controllo

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ENVIRONMENT AND DEVELOPMENT

Paper on the table growing unchecked 

by Andrea Genevois *

AMBIENTE E SVILUPPO

La carta sulla tavola, una crescita senza controllo

di Andrea Genevois *

Prompted by the article of my colleague Laura Lepri, published in the September issue of Detergo and covering ASSOSISTEMA’s request for reusing end-of-life textiles discarded by  different industrial sectors, such as the automotive or thermal and acoustic insulation industries.

In complete agreement with Ugo Dalmonte, a laundry professional from the Ferrara area, I’d like to explore an issue affecting all rental laundries working for the hotel and hospitality industries. The issue is about the rampant and uncontrolled use of paper items for setting the table, for both breakfast and fixed-price lunch, although this appears to become increasingly more frequent also for dinner.

Because of this, I decided to research the matter and discovered what follows.

First of all, there are different types of paper: 2-ply or 4-ply, tnt,  coated and polypropylene. What grabbed my attention is the fact that most of these materials are of dubious origin and companies selling them certify only the ones used for silk screen customization (nearly always processed in Italy) as “food-grade dye”.

This makes me wonder about both the dye and the material used for all those brightly and deeply colored napkins embellishing the tables of restaurants and hotels.

On top of that, there is another upsetting fact: paper, also for public use, is considered “solid urban waste” and because of this all used tablecloth slipcovers and  napkins end up as normal waste in the trashcan. With respect to this, there are two loopholes in the law.

The first, as waste disposal is paid by dwelling unit, I do not understand why hotels and restaurants using disposable paper items (and which therefore generate an unidentifiable but sensible number of additional cubic meters of waste to dispose of), are not required to pay more than their competitors that instead offer clients textile items and pay for their washing and rental.

The second loophole has even direr consequences: considering the extremely slow degradation process of coated and polypropylene products, hotels and restaurants using them should be required to comply with separate waste collection requirements. Moreover, although a local contribution (“Conai”) is paid for polyester items as an add-on to the sale price to partially cover disposal costs, there’s no reason why materials with very similar characteristics should not be handled in the same way. It should be noted that foreigners visiting Italy prefer these materials to textile napkins and tablecloths. I believe they should do their homework and find out more about what they wipe their mouth with! Linen  stored in 25-napkin and 10-tablecloth slipcover packs is certainly more hygienic than a cardboard containing hundreds of pieces and that stays open for several days.

If I’m adamantly opposed to polypropylene and the likes is not only because of my professional experience garnered over the years and which leads me to love linen and cotton.  The real issue is that paper is putting the entire textile industry and its sideline businesses under extreme pressure. Because of this, production of napkins has decreased by the million, whereas the few textile manufacturers still in business have machines running at 40% of their capacity.

Laundries are experiencing an even more substantial loss, with thousands of tons of washed linen less everyday.  These are the hard numbers of a crisis that is affecting an entire sideline market including producers of detergents, plastic materials, machinery, technologies and textile fibers.

It is therefore vital to fiercely defend what has remained of the glorious “Made in Italy” textile industry, especially considering that due to the fiscal pressure compounded by necessary environmental regulations, many companies have relocated manufacturing activities abroad, including both industrial linen and internationally acclaimed Italian designer brands.

In order to give maximum exposure to these concepts,  we need the help of all those in the business. Therefore, we invite all readers to take action with a view to making the voice of businessmen and professionals working in small and medium-sized laundries heard across the globe as effectively as possible. I would like to involve not only all the laundries that are feeling the pinch   but also  all textile companies as well as manufacturers of machinery, software, thermoplastic materials, spare parts and detergents.

I urge them to use the precious resource of the Detergo magazine to give the utmost visibility and exposure to this issue that may have a profound effect on the entire industry and its allied activities.

Andrea Genevois, born in Rome in 1965, graduated in Business Administration from the Università degli Studi di Roma La Sapienza. He earned a master’s degree in management from the Luiss University. Since 1984 he has been working as a sales rep for Industria Tessile Gastaldi where he became sales manager for Central and   Southern Italy as well as training manager for new sales reps. Since March 2009 he has been working for Totex srl as sales manager, responsible for studying optimal laundry products.

Prendo spunto dall’articolo della collega Laura Lepri, apparso nel numero di settembre di Detergo, riguardo all’appello di ASSOSISTEMA sulla riconduzione o riutilizzo del tessile dismesso in vari compartimenti industriali, che vanno da quello automobilistico a quello degli isolanti termici e acustici.

In piena sintonia con Ugo Dalmonte, imprenditore di lavanderia del Ferrarese, sono a porre una problematica che interessa tutte le lavanderie  operative nel settore del lavaggio e noleggio della biancheria per il settore “Alberghi e ristorazione”. Questa problematica consiste nell’aumento indiscriminato e incontrollabile dell’uso della carta nella “mise en place” della tavola, sia per le prime colazioni, che per i pranzi a prezzo fisso. Tenendo conto del fatto che ciò si verifica, in casi sempre più frequenti, anche alla sera.

Ho perciò compiuto una breve ricerca, di cui ora do’ conto.

Esistono diversi tipi di carta, da due a quattro veli, tnt,  spalmati, e polipropilene. Ciò che ha catturato la mia attenzione è il fatto che la maggior parte di questi materiali hanno dubbia provenienza, e che le aziende venditrici certificano come “colorante alimentare” solo quello, quasi sempre di lavorazione italiana, usato per le personalizzazioni in serigrafia.

Mi viene da pensare: con cosa saranno tinti e, soprattutto, con quale materiale sono fatti tutti i tovaglioli che vedo adornare i tavoli dei ristoranti e degli alberghi in mille colori, spesso molto carichi?

Inoltre ho scoperto un’altra cosa, a  dir poco inquietante: la carta,anche per uso pubblico, è considerata rifiuto solido urbano, con la conseguenza
che tutte le coprimacchie e i tovaglioli usati finiscono nel comune cassonetto dei rifiuti. Riscontro, in tal senso, almeno due assenze di conforto giuridico.

La prima: dal momento che lo smaltimento dei rifiuti si paga per unità abitativa, non capisco perché l’esercizio, quale esso sia, che si affida al monouso (quindi producendo a fine anno un numero imprecisato e cospicuo di metri cubi in più di rifiuto da smaltimento) non debba pagare nulla di più dell’esercizio che invece offre al cliente il tessuto, pagandone il lavaggio e il noleggio.

La seconda, ancora più grave: per quanto concerne i prodotti spalmati e in polipropilene, considerato il lentissimo processo di degenerazione, i gestori che li utilizzano dovrebbero essere obbligati alla raccolta differenziata. Aggiungo anche che, se per il poliestere si paga un contributo (“Conai”) da intendere come valore aggiunto al prezzo di vendita per coprire almeno parzialmente i costi di smaltimento, non vedo per quale motivo materiali che hanno caratteristiche molto simili non debbano seguire il medesimo iter. C’è da precisare, che gli stranieri in viaggio in Italia preferiscono questi materiali al tovagliolo e al coprimacchia in tessuto. Forse questi stranieri potrebbero a loro volta prendere maggiori informazioni su cosa portano alla bocca. Lo stoccaggio della biancheria in pacchi da 25 tovaglioli e 10 coprimacchia garantisce senza dubbio una maggiore igienicità del prodotto, rispetto all’apertura di un cartone che, con centinaia di pezzi al suo interno, rimane aperto per giorni.

Se sono assolutamente contrario al polipropilene e simili non è solo per quella acquisita esperienza professionale che mi porta ad amare il lino e il cotone. Lo sono ancora di più perché la carta sta mettendo in seria discussione l’industria tessile e il suo indotto. Anche a causa di questo fenomeno si producono infatti milioni di pezzi piccoli in meno, mentre, nelle poche aziende tessile di produzione rimaste attive, i telai girano al 40%.

Più significativa ancora risulta la perdita delle lavanderie, che si risolve  in migliaia di tonnellate di lavato giornaliero in meno. Sono questi gli elevati numeri di una crisi che va di conseguenza a intaccare un intero indotto di mercato, comprendente la produzione o il trattamento di detergenti, materie plastiche, macchinari, tecnologie, fibra tessile.

E’ invece indispensabile che quanto resta del glorioso tessile “Made in Italy” vada strenuamente difeso, considerando inoltre che, a causa di una pressione fiscale cumulata a leggi ambientali comunque necessarie, le aziende hanno spostato all’estero le produzioni, sia nella biancheria industriale di nostro specifico interesse, che per quanto riguarda le grandi “griffe” di casa nostra celebrate in tutto il mondo.

Vorremmo dare visibilità a questi concetti, per cui abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti gli addetti ai lavori. Pertanto invito tutti i lettori a mobilitarsi, affinché anche noi, imprenditori e operatori di piccola e media industria di lavanderia, possiamo far sentire la nostra voce nel modo più appropriato. Mi rivolgo in tal senso non solo a tutte le lavanderie che avvertono la gravità del problema, ma anche a tutte le industrie tessili, nonché produttrici di macchinari e tecnologie software, materie termoplastiche, ricambistica e detergenza.

L’invito è quello di utilizzare la preziosa ribalta mediatica di Detergo per diffondere nel modo più capillare e coinvolgente una campagna così determinante per il futuro di un intero indotto industriale.

* Andrea Genevois, nato a Roma nel 1965, consegue il diploma di laurea in Economica e Commercio all’Università degli Studi di Roma La Sapienza. Partecipa a un “master” in management all’università Luiss. Dal 1984 collabora come agente con l’Industria Tessile Gastaldi, dove, dal 2000 al 2008 diventa il responsabile commerciale per il centro sud e responsabile della formazione professionale dei nuovi agenti. Da marzo 2009 collabora con la Totex srl come responsabile commerciale, nonché addetto allo studio di prodotti ottimali per l’uso in lavanderia