GUIDA PER LA LAVANDERIA — Le microplastiche nel tessile e nell’abbigliamento, come arginare il problema?

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Le microplastiche sono piccole particelle di materiale sintetico con dimensioni tra 0.1 µm e 5 mm (secondo l’European Chemical Agency e l’European Food Safety Agency). Proprio a causa di questa larga definizione, rientrano in questa categoria un gran numero di particelle di diversa origine e natura.

La loro presenza nei mari, e non solo, sta diventando un problema estremamente attuale e di grande interesse mediatico, anche su scala internazionale. Le microplastiche sono state trovate non solo negli ambienti acquatici, ma anche negli animali (nell’apparato digerente di pesci e molluschi) e nel nostro cibo (pesce, sale marino, birra, ecc.). La scoperta di queste particelle, ormai onnipresenti, ha scatenato grandi interrogativi sul loro potenziale inquinante e numerose ricerche e studi approfonditi sono attualmente in corso in tutto il mondo per valutare concretamente il loro effetto sull’ambiente: così come le bottiglie di plastica, le microplastiche si accumulano in grandi quantità, non si deteriorano ma anzi durano a lungo nell’ambiente con conseguenze dannose sugli ecosistemi e sulla salute umana.
Il controllo e la misurazione dei quantitativi di questi materiali sono quindi indispensabili per la protezione dell’ambiente, dei mari e della nostra salute.

Microfibre, le microplastiche nel tessile

Tra le principali cause della presenza di microplastiche nell’ambiente si annovera il settore tessile: al giorno d’oggi più del 45% delle fibre tessili in commercio sono di origine sintetica (poliestere, polipropilene, nylon, ecc.) e queste possono rilasciare materiale, sia durante la produzione e confezionamento, che per gli abituali processi di manutenzione dei capi (principalmente lavaggio e asciugatura).

Questi frammenti di fibre sintetiche ricadono nella categoria delle microfibre (microplastiche con un rapporto tra lunghezza/diametro maggiore di 3) che vengono rilasciate nell’ambiente (nell’aria o nelle acque) e che contribuiscono all’inquinamento da microplastiche.
Il rilascio di microplastiche da parte dei prodotti tessili è in larga parte da attribuire alle fasi di lavaggio, in cui le microplastiche vengono disperse nell’acqua della lavatrice. Una parte fondamentale per approfondire la conoscenza delle microplastiche è quindi legata alla quantificazione del loro rilascio durante i cicli di pulizia in lavatrice.
In attesa di metodi specifici è opportuno prestare attenzione ai dati che vengono pubblicati su riviste, brochures e sul web, perché cambiando le condizioni di lavaggio e i metodi di conteggio i numeri possono variare molto e sottostimare o sopravvalutare i risultati, a favore o a scapito di alcuni prodotti.

La quantificazione delle microfibre

Per avere dati attendibili, la comunità scientifica si sta impegnando nella messa a punto di sistemi di misurazione della quantità di microplastiche nei diversi campi, incluso quello del tessile e abbigliamento.
Un primo approccio è quello di eseguire studi comparativi basati su analisi e processi in scala di laboratorio, utilizzando metodi e apparecchiature provenienti dalle prove di solidità del colore, per simulare i processi di manutenzione dei capi. Questi metodi sono volti a riprodurre le condizioni di utilizzo e lavaggio dei tessuti in esame su piccola scala, rendendo più semplici il campionamento e le fasi di misurazione. Tuttavia, sebbene questi metodi pongano le loro basi su norme internazionali, non sempre riproducono fedelmente le reali condizioni di uso. D’altro canto, essi permettono di analizzare specifiche condizioni, fattori e caratteristiche dei tessuti che possono influenzare il rilascio e di esprimere giudizi comparativi sommari tra diversi campioni.
Risulta ad esempio che il rilascio è condizionato dal titolo, dalla sezione e dalla texturizzazione del filato, dal tipo di armatura e intreccio del tessuto ma anche dal tipo di detersivo, essendo quello in polvere più abrasivo.
L’utilizzo dei risultati di questi test per valutare un rilascio generale a livello europeo è irto di problemi perché nessuno dei test ha saputo ricreare esattamente cosa succede quando un tipico carico di vestiti viene lavato in circostanze “reali”.
Per questo motivo sono in fase di sviluppo altri metodi di analisi, basati sull’utilizzo di lavatrici domestiche o da laboratorio, ma sempre in condizioni di carico e lavaggio quanto più possibile fedeli all’uso comune.
Il campionamento e la quantificazione delle microfibre nelle acque di scarico di lavatrici domestiche e industriali sono però ardue e complesse e presentano numerose criticità, tra cui non ultimi i volumi di acqua da esaminare e i tempi di analisi.
La quantificazione delle particelle può seguire principalmente due strade: valutazione gravimetrica (in peso) del materiale raccolto o conta microscopica di campioni delle acque reflue. La prima fornisce un’indicazione del quantitativo totale delle fibre rilasciate dal campione durante uno o più cicli di lavaggio, senza alcuna indicazione sulla tipologia e la natura delle fibre raccolte. L’analisi microscopica viceversa permette l’identificazione qualitativa delle fibre raccolte per confermarne l’origine e la natura chimica. Consente inoltre un’analisi approfondita sulle fibre (tipologia, dimensioni, composizione, % di prevalenza per tessuti misti) ed eventualmente la stima (proporzionale) del quantitativo totale rispetto ad altre componenti o contaminanti.
Nell’ultimo periodo numerosi metodi di analisi e nuove strumentazioni sono in fase di progettazione e verifica, per poter, in primis, avere una valutazione realistica e affidabile delle microplastiche rilasciate dai prodotti tessili. E già numerose aziende si stanno impegnando per trovare alternative e rimedi al rilascio delle microplastiche dovute ai lavaggi dei prodotti tessili. Ma è solo conoscendo a fondo il problema e i suoi impatti che si potrà valutare le soluzioni per salvaguardare la salute, umana e del pianeta.

 

di Dott.sa Elena Conti – Centrocot Spa
Area Ricerca & Innovazione Multisettoriale

 

 

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