Gli autorevoli addetti ai lavori da noi coinvolti in quest’inchiesta confermano che al giorno d’oggi non inquinare significa essere non solo virtuosi, ma anche competitivi. Perché molte soluzioni dettate dall’ecologia comportano risparmi energetici, e perché le certificazioni derivate dalle buone pratiche garantiscono credibilità nel mercato globale
L’Ambiente sta cambiando i nostri modelli di vita. E succede anche in lavanderia, con nuove relazioni fra questa vasta tipologia di aziende e un’utenza che se ne serve a ogni livello: dagli enti della sanità pubblica, agli hotel delle grandi catene alberghiere, alle pizzerie giù all’angolo, ai condòmini della porta accanto.
“L’Italia ha contribuito in modo determinante a tracciare la rotta di questo cambiamento” rileva in proposito Livio Bassan, amministratore delegato di CHRISTEYNS ITALIA, multinazionale dei prodotti chimici per la lavanderia. E spiega: “Ad esempio, per quanto riguarda gli scarichi, il nostro Paese vanta la legislazione più restrittiva e garante della salute pubblica, a partire dalla legge 319 del 1976 sulle quantità di fosfati che possiamo destinare alla rete idrica. Si è quindi formata, nel concreto della pratica quotidiana, una cultura d’impresa su cui le lavanderie, e le aziende che le servono, hanno realizzato percorsi virtuosi in tema di sostenibilità ambientale”.
“Partendo da questi presupposti – conclude Bassan – oggi è un dato acquisito in tutto il mondo la redditività di ciò che diventa sostenibile da un punto di vista ambientale. Se io consumo meno acqua, scaricherò di meno e, nello stesso tempo, risparmierò di più, per il bene della mia azienda e del territorio in cui opera. Inoltre è bene ricordare che lo farò per il mantenimento di quei capi tessili che inquinano molto meno dei monouso realizzati con chissà che quali coloranti, per poi ingolfare tante discariche”.
E’ presto per capire se l’umanità sarà in grado di salvare il pianeta Terra dalla propria stessa incuria, ma è certo che a questo traguardo si potrà arrivare senza più trascurare alcun aspetto della vita quotidiana. “E la lavanderia è uno di questi” ribadisce Marco Niccolini, direttore commerciale di RENZACCI, azienda che produce macchine per la lavanderia a Città di Castello, in Umbria.
“Siamo di fronte a un processo di evoluzione culturale così trainante – continua Niccolini – da cambiare totalmente il rapporto fra lavanderia e cliente finale. Quest’ultimo, inteso a tutti i livelli, manifesta oggi una sensibilità spiccata per determinate tematiche e, in conseguenza di ciò, non ritira più i capi accontentandosi che siano puliti. Pretende che i processi di lavaggio tutelino il benessere suo e dell’ambiente in cui vive, pronto a dire no a quanto inquina oltre misura, oppure danneggia la salute pubblica”.
“La lavanderia non è più un mondo a parte, come poteva essere considerato fino a una decina di anni fa – continua Niccolini – un bancone di consegna oltre il quale a nessuno importava cosa accadesse. Oggi la percezione dell’utenza è diventata condizionante, ragione per cui la lavanderia deve potenziare le proprie capacità di informazione e comunicazione sui temi ambientali: ad esempio chiarire tutte le modalità d’uso di quei solventi naturali che garantiscono minore tossicità e maggiore biodegradabilità. Ecco perché, sempre di più, noi fornitori dobbiamo garantire, oltre a macchine efficienti ed ergonomiche, una consulenza permanente sul piano della formazione. Salute e benessere sono i fondamenti su cui già funzionano le bio-lavanderie, destinate a rafforzare in tempi brevi la propria leadership virtuosa”.
“Di sicuro l’Ambiente ha cambiato le dinamiche produttive dell’indotto – rileva Luciano Miotto, presidente di IMESA, che produce macchine per lavanderia a Cessalto (Treviso). – La massima rapidità di lavaggio, per esempio, richiede quelle alte temperature che alzano le emissioni d C02. Ne deriva che un essiccatoio funzionante con pompa di calore produce meno C02, impiegando più tempo, ma secondo una modalità ormai accettata dal mercato”.
“E’ significativo osservare come, con le pompe di calore, le grandi macchine delle lavanderie industriali somigliano di più alle lavatrici domestiche, che nelle nostre abitazioni private possono lavorare avendo un massimo di tre kilo-watt a disposizione. E’ segno di una percezione ovunque diffusa, come se fossimo tutti più consapevoli del fatto che lavare significa sempre produrre, per necessità, un effetto inquinante, e che le lavanderie hanno a disposizione mezzi sempre più potenti e accurati per limitarlo al minimo”.
In ogni caso, la sostenibilità assurge a valore assoluto, anche in termini economici, come conferma, da un’altra, interessante angolazione, Michele Viganego, senior project-engineer e socio amministratore di AMBIENTE LAVORO ENERGIA di Genova. “Un esempio molto calzante è quello dell’Aua, l’Autorizzazione unica ambientale che consente a un’azienda di operare in seguito a un’istruttoria compiuta dalle autorità preposte – chiarisce Viganego. – Dal 2013 l’Aua sostituisce ben sette titoli ambientali che venivano precedentemente richiesti a proposito di scarichi, fanghi, rifiuti, inquinamento acustico. Tutto ciò che è previsto dall’Aua induce le aziende ad acquisire quelle certificazioni europee che le rendono più credibili e competitive in ambito internazionale, con acquisizione di know how fondamentali dal punto di vista delle procedure, delle macchine e dei prodotti che si utilizzeranno. Ci sarà sempre più wet cleaning a scapito del lavaggio con percloro, ma questo comporterà nuove sfide da affrontare sul piano della qualità del pulito, perché l’etichetta green non basta a garantire un lavaggio d’eccellenza, occorrono anche i prodotti e i sistemi giusti. Ecco perché tutelare l’Ambiente è una sfida così cruciale per le lavanderie dei nostri giorni”.
“La scienza indica da tempo da che parte dobbiamo dirigerci” aggiunge Stenilio Morazzini, Ceo di MONTEGA, azienda di Misano Adriatico che produce specialità chimiche per l’industria tessile. E precisa: “Ci dice ad esempio quali tensioattivi adottare per lavare a basse temperature agevolando comunque le miscele fra i liquidi e l’azione sui capi. L’uso di questi tensioattivi è una risorsa che la scienza ci mette a disposizione per inquinare meno, risparmiare di più in termini energetici, e tutelare meglio i luoghi di lavoro, che si conservano più sani se esposti a temperature compatibili con le normali attività umane”.
“Ma Ambiente e lavanderia parlano la stessa lingua – chiude Morazzini – a patto di utilizzare macchine efficienti e rigorose, a cui affidare la tutela di un tessile che, se lavato bene, avrà la sua massima durata in termini di qualità e resistenza”.
“Anche l’indotto dello stiro è pienamente coinvolto, per quanto lo compete, nella tutela dell’Ambiente” segnala infine Walter Cividini, amministratore delegato di FIMAS, che produce macchine per lo stiro a Vigevano. E spiega: “Ogni settore produttivo fa la sua parte in questo contesto, così prioritario per il mondo in cui viviamo. Diventa perciò indispensabile realizzare macchine per lo stiro dotate, dove serve, di cappa d’aspirazione in grado di recuperare energia da reimmettere in circolo, Così come va bene promuovere progetti ispirati da principi di ergonomia, grazie a cui salvaguardare il benessere del lavoratore. Non esiste tutela dell’Ambiente senza tutela della Salute”.
di Stefano Ferrio
RIVISTA DETERGO
MAGGIO 2017