In questi ultimi mesi di convivenza con la crisi sanitaria (speriamo di di essere ai titoli di coda), che ci attanaglia da più di un anno e mezzo, si sono susseguiti dati molto confortanti a proposito della crescita economica in atto. Diciamo subito che l’ipotesi di crescita del 6% del Pil italiano alla fine dell’anno è un dato che va oltre le ben più rosee aspettative. I dati però vanno interpretati, decodificati e letti in modo corretto.
Questa ripresa ha un effetto di “compensazione” rispetto “all’encefalogramma piatto” del Pil nei 18 mesi pandemici. Rispetto alla ripresa in atto, si è messa di traverso la rincorsa dei prezzi del petrolio, dei costi dei container e la scarsità di molte altre materie prime, attraverso le quali “gira” il motore produttivo.
Distratti dall’immaterialità del digitale, che ha annullato le distanze degli incontri e degli acquisti, ci siamo semplicemente dimenticati di un particolare di non secondaria importanza. L’economia è ancora pesantemente fisica. Ci sono le materie prime, la produzione e i trasporti.
Cosa sta succedendo e per quale motivo le materie prime scarseggiano e i costi si impennano? L’improvvisa lievitazione della domanda mondiale ha messo a nudo la debolezza delle principali rotte e causato l’accumulo di giganteschi ritardi nelle forniture
dei componenti industriali.
Ricordate le straordinarie immagini della nave Ever Given che ha bloccato per giorni il Canale di Suez? L’asimmetria tra la gigantesca nave e il minuscolo escavatore? Ecco, questo incidente ha dimostrato quanto sia fragile la rete mondiale dei
collegamenti marittimi grazie ai quali si muove la quasi totalità delle merci. Chi ha i fornitori dall’altra parte del globo ha problemi seri, tanto è vero che ci sono molte nostre aziende che hanno i magazzini saturi di prodotti non finiti.
Prezzi alle stelle e carenza fisica di prodotti. Ma il cortocircuito si completa con il prezzo del petrolio, che oggi viaggia intorno i 70 dollari a barile, in rialzo di oltre il 50 per cento rispetto a un anno fa. In tutto ciò, c’è anche però un effetto positivo. Molte aziende italiane e non solo, stanno riconsiderando la necessità di un accorciamento delle catene di produzione e di subfornitura.
Oggi, davanti a tutto quello che sta succedendo sui mercati, scopriamo la validità di un approccio diverso. E’ in atto una riconsiderazione rispetto alle delocalizzazioni spinte del recente passato. In molti casi è necessario che i fornitori siano in un raggio di azione ridotto e la filiera sia più corta. C’è un vuoto da colmare. Però ci vogliono competenze, talenti imprenditoriali, voglia di investire e di provarci su mercati che sono sempre più selettivi e competitivi.
di Marzio Nava
Detergo Magazine – Numero 10, Ottobre 2021