Modalità, funzione e tempi della Carbon tax. Il Consiglio dell’Ue ha previsto a partire da ottobre 2023 (quindi già da qualche settimana) alcuni obblighi in capo agli importatori europei di alcuni prodotti. Dal 1° gennaio 2026, la Carbon tax entrerà in funzione in maniera definitiva. Inizialmente la normativa si applicherà ad un numero ristretto di merci la cui produzione è caratterizzata da un’alta intensità di carbonio: prodotti siderurgici, alluminio, energia elettrica. E anche per il Passaporto Digitale ci sono novità in arrivo…
La domanda ciclicamente torna spontanea, sta ritornando il protezionismo? UE e USA hanno intenzione di difendersi dalla concorrenza cinese (e di altri Paesi)? Ci sono dei segnali in questo senso? Qualche mese fa la Presidente della Commissione europea ha annunciato l’apertura di un’indagine anti-sussidi sulle importazioni di auto elettriche cinesi. Pechino ha accusato la Ue di «atto protezionistico» e «concorrenza sleale». Un’accusa che va stretta all’Unione europea, specie se si pensa a quanto accaduto con i vaccini anti-Covid: Regno Unito e Stati Uniti imposero un divieto totale all’esportazione dei sieri a differenza dell’Ue che è rimasta la «farmacia del mondo». Le transizioni verde e digitale stanno spingendo a un nuovo protezionismo? L’autonomia strategica in campo industriale promessa dalla presidente Ursula von der Leyen e portata avanti dal commissario Ue al Mercato interno Thierry Breton ha fatto temere a molti osservatori una deriva protezionistica sulla scia di quanto sta accadendo negli Stati Uniti. L’Ue è il vaso di coccio tra Washington (che ha messo sul tavolo 370 miliardi di dollari con l’Inflation Reduction Act) e Pechino (che sovvenziona abbondantemente le proprie imprese).
L’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia ha spinto l’Unione europea a rivedere le proprie strategie commerciali e industriali per ridurre la dipendenza dai Paesi anti-democratici (ma non solo) e differenziare gli approvvigionamenti, per evitare che ricapiti quanto è accaduto con le fonti fossili russe. Ora sono le materie prime che scarseggiano, fondamentali per le batterie e i chip, a garantire l’autonomia e la sicurezza economica. Dal 21 settembre è in vigore lo Eu Chips Act che ha l’obiettivo di raddoppiare la quota europea di mercato globale portandola al 20% entro il 2030 e produrre in Ue i semiconduttori più sofisticati ed efficienti sotto il profilo energetico.
Ma focalizziamo l’attenzione sulla così detta Carbon tax. In gergo tecnico lo chiamano CBAM e nel giro di pochi anni (anzi, mesi) quasi tutte le aziende del settore manifatturiero dovranno imparare a familiarizzare con questa sigla. Significa Carbon Border Ajustment Mechanism: letteralmente “meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere”. Un sistema che ha l’obiettivo di proteggere il clima e le aziende dell’Unione europea. Ci si arrovella da tempo su questo tema. Se la crisi climatica è globale, tutti i Paesi del mondo devono fare la propria parte nel ridurre le emissioni. Ma cosa succede se l’Europa impone regole stringenti e altri continenti restano con le mani in mano, proprio come sta avvenendo sotto i nostri occhi? Non c’è il rischio che le aziende nostrane, spostino le produzioni fuori dai confini europei, oppure smettano di produrre e si affidino sempre di più alle importazioni? Il CBAM punta proprio ad allontanare questo scenario. “Contribuirà a ridurre le emissioni a livello globale garantendo nel contempo condizioni di parità tra le imprese”, è la sintesi fatta dalla Ue nel presentare il nuovo strumento normativo. Ciò che si delinea dal punto di vista geo economico è ciò che abbiamo illustrato in precedenza, il continente europeo che si difende dalla concorrenza sleale e dal dumping sociale di altri Paesi.
Cinque atti, parte del pacchetto Fit for 55%
Il CBAM si compone di cinque atti che fanno parte del pacchetto “Fit for 55%”, cioè “Pronti per il 55%”. Si tratta della realizzazione pratica delle politiche con cui l’Ue ha promesso di ridurre le sue emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, e di raggiungere la cosiddetta neutralità climatica entro il 2050. Di che si tratta? A parte il meccanismo per ridurre l’importazione di prodotti ad alto tasso di emissioni, i cinque provvedimenti riguardano l’istituzione di un Fondo sociale per il clima (servirà per finanziare misure a sostegno dei cittadini e delle piccole imprese colpite dall’innalzamento dei prezzi) e la direttiva ETS, i cui obiettivi di riduzione delle emissioni sono stati innalzati allargando la platea degli aderenti. Concentriamoci però sul CBAM, la nuova carbon tax: senza dubbio la misura che impatterà maggiormente sul settore manifatturiero italiano, in particolare su quello della meccanica.
Settori coinvolti, obblighi e “certificati CBAM”
Siderurgia, alluminio, cemento, fertilizzanti, idrogeno, energia elet- trica: inizialmente il CBAM riguarderà questi settori. Il Regolamento 2023/956, dopo essere stato varato dal Consiglio dell’Ue, ha previsto infatti a partire da ottobre 2023 (poche settimane fa) alcuni obblighi in capo agli importatori europei di questi prodotti. In sostanza dovranno controllare e comunicare alle autorità europee la quantità di emissioni climalteranti incorporate in questi beni, cioè quelle generate per realizzare i prodotti. Inizialmente si tratterà solo di comunicare i dati, ma nel futuro prossimo sarà necessario anche mettere mano al portafoglio. Il meccanismo studiato dalle autorità europee funzionerà infatti in modo simile al sistema ETS, il principale mercato dell’Ue per i crediti di carbonio, riservato per ora alle industrie ad alta intensità energetica, al settore della produzione di energia, a quello del trasposto aereo e, a breve, a quello marittimo.
Come funziona il sistema ETS?
Il sistema ETS funziona così. L’impresa comunitaria deve rispettare un limite alle emissioni prodotte: se lo supera è tenuta a pagare, e questo dovrebbe spingerla a inquinare meno. Nella pratica ogni anno l’azienda riceve (in parte gratis, in parte pagando) una quantità di crediti di carbonio: ciascun titolo corrisponde alla possibilità di emettere una tonnellata equivalente di anidride carbonica. Se non vuole essere multata, alla fine di ogni anno l’impresa deve restituire un numero di crediti sufficienti a coprire le emissioni oltre il limite. Se però l’azienda ha inquinato più del previsto, può comprare i crediti mancanti da chi ne ha in eccesso.
Il CBAM dovrebbe essere nelle intenzioni della Ue, complementare al sistema ETS (come abbiamo visto nel riquadro). Quest’ultimo si applica infatti alle aziende che producono nell’Ue, le quali devono dunque sopportare costi maggiori dati proprio dai crediti di carbonio. Chi invece produce fuori dai confini comunitari non ha un appesantimento dovuto a questi costi. L’osservanza delle regole ha oggettivamente un costo. Ecco dunque il pericolo. Le produzioni ad alta intensità di carbonio potrebbero essere trasferite in Paesi con politiche climatiche meno rigorose. E i prodotti importati potrebbero risultare vantaggiosi in termini di prezzo, ovviamente a spese dell’ambiente.
Nasce da qui l’esigenza di introdurre i “certificati CBAM”, corrispondenti alle emissioni incorporate nelle merci. Per rispettare il regolamento, le aziende importatrici dovranno acquistare dagli Stati membri dell’Ue un numero di certificati sufficiente per coprire il quantitativo di emissioni incorporate nelle merci acquistate fuori dai confini comunitari. La compravendita dei certificati avverrà attraverso una piattaforma gestita dalla Commissione europea, alla quale spetterà il compito di registrare il prezzo e la data di vendita del certificato acquistato. Quanto si spenderà? Prevederlo non è facile, perché i prezzi saranno sottoposti alle fluttuazioni del mercato. Il costo dei certificati CBAM si baserà infatti sul prezzo medio d’asta settimanale delle quote ETS, cioè il sistema già utilizzato oggi dall’Unione europea.
Costi in aumento per gli importatori europei
Senza dubbio, per chi punta molto sulle importazioni extraeuropee di certi prodotti, i costi sono destinati ad aumentare, e così di conseguenza su tutta la catena del valore. Il CBAM si configura come una sorta di dazio ambientale all’importazione di acciaio e alluminio e di conseguenza le prospettive per un libero commercio, sostanzialmente scevro da barriere e vincoli burocratici, si allontanano sempre di più dal territorio dell’Unione. D’altra parte, è pur vero che al momento buona parte del mondo non ha una tassa sul carbonio; di conseguenza le aziende che producono in Europa si trovano in una situazione di evidente svantaggio competitivo.
Il Regolamento prevede due fasi d’implementazione:
• la fase transitoria, che ha avuto inizio con la data di entrata in vigore del Regolamento (1° ottobre 2023) e terminerà il 31 dicembre 2025. In tale periodo transitorio il tributo non sarà applicato alle merci importate, ma saranno solo acquisite informazioni sulle quantità dei prodotti in entrata soggetti al CBAM, compresa la valutazione delle emissioni incorporate. In questa fase, già in corso, ha inizio l’attività di autorizzazione dei soggetti obbligati da parte delle autorità competenti nazio- nali (in Italia ha sede presso il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica);
• a regime, dal 1° gennaio 2026, quando il meccanismo entrerà in funzione in maniera definitiva. In base a quanto previsto dal Regolamento, la prima dichiarazione CBAM, relativa alle merci importate nell’anno civile 2026, dovrebbe essere presentata entro il 31 maggio 2027.
Nel periodo iniziale tali previsioni si applicheranno ad un numero ristretto di merci la cui produzione è caratterizzata da un’alta intensità di carbonio: prodotti siderurgici, alluminio, energia elettrica. Durante la prima fase transitoria che è iniziata il 1°ottobre 2023, gli operatori individuati nell’articolo 2 del Regolamento di Esecuzione, Reg. (UE) 2023/1773, sono tenuti a raccogliere i dati su base trimestrale e a trasmetterli alla Commissione: il primo rapporto, con dati riferiti al quarto trimestre 2023, dovrà essere inviato entro la fine del mese di gennaio 2024.
Successivamente, cioè dal 1° gennaio 2026, tali soggetti dovranno, una volta autorizzati, dichiarare ogni anno la quantità di merci soggette a CBAM importate nell’anno civile precedente e i dati delle emissioni di anidride carbonica incorporate. Quindi, dovranno restituire un numero di certificati CBAM corrispondente a quanto dichiarato, il cui prezzo sarà calcolato in base al prezzo medio delle quote EU ETS espresso in €/tonnellata. Naturalmente essendo un provvedimento in via di attuazione sarà necessario maggiori specifiche operative e prassi attuative da parte delle autorità coinvolte.
Il passaporto dei prodotti digitali (DPP)
Ogni prodotto europeo di consumo (anche i prodotti tessili) potrebbe presto avere un vero e proprio “passaporto digitale” che testimoni la sua rispondenza a specifiche regole europee in materia di circolarità, riciclo, recupero e riutilizzo. Lo prevede una proposta di regolamento europeo al vaglio delle Istituzioni di Bruxelles che presumibilmente rivoluzionerà la progettazione dei prodotti in commercio, rendendola il più possibile eco-compatibile. Ma a quali prodotti si applica e come funzionerà il passaporto verde e digitale ipotizzato dall’Unione Europea? Il passaporto digitale dell’UE riguarderà una grande quantità di prodotti in commercio, in particolare i tessili e moda escludendo però alimenti, mangimi, medicinali, prodotti veterinari e veicoli a motore, per alcuni dei quali esistono già regole progettuali che ne garantiscono l’efficienza energetica ad esempio. Per progettazione eco-compatibile si intende la realizzazione di prodotti progettati per essere durevoli, efficienti, facilmente riciclabili.
Aumenterà sicuramente il numero di prodotti da progettare sin dalla partenza come “sostenibili” fissando specifici requisiti di sostenibilità ambientale e garantendo per ogni bene la massima trasparenza circa il suo smaltimento. Nel testo di regolamento si parla di un insieme di regole comuni per rendere i prodotti di consumo non solo più efficienti sotto il profilo energetico e delle risorse di partenza impiegate a costruirli ma anche più durevoli, riutilizzabili, migliorabili, riparabili e riciclabili. Il passaporto riporterà anche altre informazioni: la presenza di sostanze pericolose dei componenti che ostacolino la circolarità, l’efficienza energetica, i contenuti riciclati, l’impronta di carbonio e l’impronta ambientale e gli obblighi di informazione, tutti elementi sui quali si cerca il confronto con il mondo industriale per avere criteri progettuali sostenibili “minimi” e trasparenti e soprattutto per assecondare una loro maggiore responsabilizzazione rispetto al prodotto realizzato.
A chi serve un passaporto digitale?
Certamente servirà al consumatore per permettergli di scegliere consapevolmente se comprare o meno il bene in base alle sue possibilità di riciclo. Servirà anche alle autorità di controllo per migliorare le verifiche sul ciclo di vita del bene o sull’eventuale smaltimento e riciclo.
Passaporto digitale, ipotesi sull’entrata in vigore
Le nuove regole sulla realizzazione eco-compatibile dei beni e sul loro passaporto digitale non entreranno in vigore presto: dopo l’approvazione occorreranno almeno 18 mesi per far adeguare gli operatori economici alle novità progettuali e due anni agli Stati per organizzare il sistema di vigilanza e sanzioni. L’UE ritiene però essenziale coinvolgere tutti i soggetti del mercato: dal mondo industriale che il bene lo produce al consumatore che lo utilizza, all’operatore del riciclo, che ne cura il fine-vita. Perché se è vero che un passaporto ti permette di indentificare il bene e le sue potenzialità di restare sul mercato e trovare “nuova vita”, occorre l’impegno di Stati e persone a rendere trasparenti e facilmente reperibili quelle informazioni. E provvedere poi al suo “destino” di riciclo e riuso o distruzione, solo quando le caratteristiche del bene lo consentano davvero. •
di Marzio Nava
DETERGO Magazine # Dicembre 2023